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Acrocori/Accrochés
Acrocori/
Accrochés

13.01 - 10.03.2018

a cura di/curated by Alberto Zanchetta.

 

Villa Contemporanea, Monza

Acrocori / Accrochés, personale di Laura Renna, selezionata dalla galleria nel contesto del VI Premio Ora.

Artista poliedrica, Renna travalica i confini della scultura, ora alleggerendola, ora negandole la compiutezza; i suoi lavori parlano di scultura ma non sempre si concretizzano in oggetti tridimensionali. Natura, fotografia, materiali industriali sono materia da plasmare per modellare lo spazio.

In questa personale l’artista crea due grandi installazioni che rimandano al dualismo leggerezza/pesantezza, pieno/vuoto: nella prima sala della galleria un grande “arazzo” invade lo spazio, nella seconda, invece, sculture di lana di metallo prendono la forma di elementi vegetali. 

 

Acrocori / Accrochés, a personal show by Laura Renna, selected by the Gallery for the 4th Ora Prize.

A multi-faceted artist, Renna tugs at sculpture’s limits, lightening its mass here, refuting it there. Although her works may refer to sculpture, they do not always assume the form of three-dimensional objects. Natural elements, photos, and industrial materials are what she manipulates to model the space before her.

For this personal show, she has created two impressive installations that address the dualism inherent in lightness/heaviness, solidity/emptiness: an enormous “tapestry” fills the gallery’s first room, while sculptures in metal wool that assume the form of vegetal elements enliven the second. 

Stampa/Press

Espoarte  February 2018

text Alberto zanchetta

DALLA LEGGEREZZA DELLA MEMORIA AL PESO DELLA MATERIA

 

Testo critico di Alberto Zanchetta.

Eugenio d’Ors ci invita a considerare il fatto che un giorno Isaac Newton «uscì a passeggio in cerca della mela e non per scoprire le leggi della gravità». Non dissimile è il caso di Laura Renna. L’artista è solita intraprendere delle escursioni ad alta quota per lasciarsi alle spalle ogni occupazione e/o preoccupazione professionale (tra gli altopiani non c’è ragione di pensare a qualcosa che non appartenga alle montagne stesse). È solo al termine del viaggio che si presenta un interrogativo anodino: “cosa farne” di quest’esperienza? Ed ecco che questo desiderio, questo “ambire” entra in relazione con la parola “circondare”, andare cioè intorno a qualcosa che si può solo lambire, sfiorandola appena.

Laura Renna l[’]ambisce il mondo esterno e l’esistenza scattando fotografie durante il suo impulso migratorio, immagini che vengono accumulate e poi dissipate nelle fasi di lavorazione. Anziché limitarsi a convertire le escursioni in un’inclusione di aneddoti o reminiscenze, l’artista è votata a un dispendio estetico, alla rinuncia e al sacrificio che può ampliare la visione. Una visione di cui gode non soltanto il ricevente ma anche l’emittente. Cesellando le fotografie, Laura Renna epura le immagini dal superfluo e da ogni soggettivismo, le rende eteree, più volatili che terricole (benché sia proprio la volta celeste ad essere esclusa dai profili rupestri). Intrecciati su nastri di cotone, i brandelli formano così un arazzo, o ancor meglio: un rizoma che asseconda un principio di connessione e di eterogeneità. Le pareti rocciose, spesso virate in suadenti cromie, diventano sagome-spaccature, orli di una terra sconosciuta che cerca di ricucire e condividere i propri confini. Alla fine ne nasce un disegno leggero e fragile, a indicare nuovi, inediti percorsi, liberati verso l’infinito.

I grovigli di Renna, pur possedendo una precisa morfologia, assecondano una processualità aperta, dettata dall’effetto di gravità, tant’è vero che le “immagini pendenti” esercitano una propria casualità nell’ordine/ordito precostituito. In questo senso l’artista eredita la morbidezza e la flessibilità dell’Anti-form che si contrapponevano alla rigidità e alla durezza del minimalismo. Per effetto della gravità, la forma [in]determinata rappresenta una molteplicità rispetto alla propria combinazione e dimensione, una manipolazione solo in parte controllabile dall’artista, e dall’altra parte condivisa con le leggi della fisica. Non fa eccezione a questa regola l’intreccio della lana di ottone e d’acciaio inossidabile, processo laborioso – di muscoli più che di testa – che germina in modo spontaneo, punto dopo punto, tenendo conto del peso accumulato e dell’allungamento dei filamenti durante le fasi di lavorazione. Il materiale, duttile e malleabile ma non per questo meno ostico, cadenza il vissuto dell’artista e cerca di dare forma a un’immagine mnemonica, a un elemento vegetale e al contempo minerale. È come se l’artista volesse legarsi a qualcosa, a un ricordo per esempio, e allo stesso tempo cercasse di oltrepassarlo, lasciandolo fluttuare, senza definirlo, senza spiegarlo, per riuscire a viverlo nella sua pienezza e autenticità. 

«Io sono la mia montagna», afferma Laura Renna, «inaccessibile a volte». L’immagine/metafora è quella di un acrocoro a cui l’artista pare restare avviluppata, quasi fosse impigliata e “sospesa” (lo suggerisce il termine accrochér desunto dall’idioma francese) nella propria ricerca. Così come accadde a Newton, che bramava una mela e incappò invece nella gravità, Laura Renna non si fa soggiogare dalle leggi della natura ma collabora con esse. Accettando e sfidando la gravità, l’artista si destreggia tra pieni e vuoti, masse e linee, tenendo a mente un unico obiettivo: riscoprire attraverso un vuoto di memoria le infinite meraviglie che [ac]cadono sotto i nostri occhi.  

FROM LIGHTNESS OF MEMORY TO HEAVINESS OF MATERIAL

 

Critical text by Alberto Zanchetta

 

Eugenio d’Ors invites us to consider the fact that one day Isaac Newton «went for a walk looking for an apple, not to discover the law of gravity». The case of Laura Renna is not dissimilar. The artist regularly goes walking at high altitude to leave her professional occupation and/or preoccupations behind (when you’re in the mountains there’s no reason to think of things that belong elsewhere). The simple question of “what to do” with this experience raises its head only after you descend. Hence this desire or intent enters into relation with the word “surround”, in other words, work “around” something you can only caress lightly or graze against.

Laura Renna caresses the world outside and existence by taking photos on the impulse of her wanders, images that accumulate and are then dissipated during phases of working. Instead of limiting herself to converting her excursions into anecdote or reminiscence, she has exerts aesthetic energy, renunciation and sacrifice that is capable of expanding vision, a vision that benefits the viewer and transmitter both. Chiseling away at her photos, Laura Renna strips her images of the unessential and all subjectivity, rendering them ethereal, more volatile than terrestrial (even if it is the sky itself that gets cut away from her rocky crags). Strung on cotton ribbons, these patches form a tapestry, or even better, an elaborate root network that reinforces the principle of connection and diversity. Often saturated in soothing hues, rock walls become the outlines, fractures and cliffs of an unfamiliar land attempting to stitch together and share its boundaries. The end result is a light and fragile drawing that provides new,  untraveled itineraries released into the infinite. 

Despite possessing precise  morphology, Renna’s tangles represent an open-ended process dictated by the effect of gravity, to the extent that her “sloping images” exert their own causality in the preordained warp and weft. In this sense, the artist is heiress to the softness and suppleness of the Anti-form that countered Minimalism’s stiffness and hardness. By effect of gravity, the (in)determinate form represents a multiplicity compared to its own combination and dimension, a manipulation only partially controllable by the artist, on one hand, and effected with the laws of physics, on the other. The tangle of brass and stainless steel wool so laborious in the making and requiring at least as much brawn as brain that sprouts spontaneously, point by point, taking into account the accumulation of weight and the lengthening of the strands during working is no exception to the rule. This material, no less problematical for being ductile and malleable, gives cadence to the artist’s experience in an attempt to give form to a mnemonic image, an element both vegetal and mineral at the same time. It’s as if the artist wanted to bind herself to something, a memory for example, while yearning to go beyond it at the same time, letting it just loat there without defining it, without explaining it, in order to live it in all its fullness and authenticity. 

«I am a mountain of my own» Laura Renna affirms, «inaccessible sometimes». The image/metaphor is that of a mountain chain in which the artist appears engulfed, almost as if she were knotted up and “suspended” (as suggested by the French term accrochér) in her work. Just as happened to Newton, who hungered for an apple but stumbled into gravity instead, Laura Renna is not subjugated by the laws of nature but works along with them. By accepting and challenging gravity, the artist juggles solidity and emptiness, lines and weights, with just one objective in mind: the rediscovery through lapse of memory of the infinite marvels that stand or sometimes even fall right before our eyes.  

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